Nel mondo della comunicazione e del branding, uno dei rischi più subdoli e sottovalutati è quello di finire intrappolati in una echo chamber.
Il concetto di echo chamber (letteralmente camera dell’eco) è stato introdotto e sviluppato in ambito accademico e giornalistico tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000,
Uno dei primi a elaborarlo in modo sistematico è stato il giurista e studioso statunitense Cass R. Sunstein.
Nel suo saggio “Republic.com” (2001), Sunstein analizza come Internet anziché ampliare l’orizzonte informativo abbia portato le persone a isolarsi progressivamente in bolle di opinioni simili tra loro, evitando il confronto con idee diverse.
Secondo Sunstein, il rischio principale è la polarizzazione: quando le persone interagiscono solo con chi la pensa come loro, tendono a radicalizzare ed estremizzare le proprie posizioni.
Una echo chamber fondandosi sul bias confermativo è un ambiente in cui si è esposti quasi esclusivamente a contenuti che confermano le proprie opinioni. Al suo interno, le voci critiche vengono ignorate o screditate a favore delle opinioni che muovono tutte in una stessa direzione.
In una sorta di effetto eco della comunicazione le informazioni si amplificano e si rafforzano a vicenda per risonanza interna, generando una sostanziale deformazione della realtà che considera come attendibili solo le informazioni che riecheggiano.
Quello dell’echo chamber non è solo un fenomeno sociale, ma rappresenta un rischio concreto per l’informazione equa e sincera.
In questo modo si creano ambienti ciechi a conversazioni ed opportunità in cui è difficile incontrare e discutere punti di vista differenti.
Per un brand, l’echo chamber è un pericolo difficile da individuare ma potenzialmente molto dannoso. Fa credere che tutto stia andando per il verso giusto portando ad ignorare segnali critici e campanelli d’allarme. Un atteggiamento mistificatorio che, di fatto, spesso può trasformare un problema marginale in un’autentica crisi reputazionale.
La rassegna stampa, se utilizzata in modo strategico, è uno degli strumenti più efficaci per “rompere” la logica della camera dell’eco. Non serve solo a sapere dove sei stato citato, ma a comprendere come sei percepito da ambienti diversi, con linguaggi e narrazioni differenti. Ti permette di monitorare toni, contesti, testate, blog, newsletter e social, restituendoti un’immagine complessa ma reale di come il tuo brand viene raccontato.
Una buona rassegna stampa aiuta a confrontare ciò che si pensa di comunicare con ciò che realmente arriva all’esterno. Mette in ascolto su conversazioni che altrimenti difficili da intercettare e prepara ad agire in tempo, prima che un fraintendimento o una critica crescano fino a diventare una crisi.
I social media mostrano ciò che piace, confermano pensieri e premiano i contenuti più polarizzati. Questo rende ancora più facile restare chiusi nella propria bolla. Anche i brand non sono immuni a questo meccanismo: vedono solo i feedback più visibili, le interazioni positive e le conferme rassicuranti. Ma comunicare non significa cercare solo consenso: significa anche sapersi mettere in discussione, leggere il contesto e adattarsi.
Chi comunica oggi non può permettersi di vivere in una echo chamber. Deve costantemente guardare fuori imparando a riconoscere le bolle informative in cui si muove e, quando serve, saperle forare.
Le echo chamber condizionano la percezione che le persone hanno di un brand, di un progetto, di un’idea. Per non restarne prigionieri serve uno sguardo più ampio e più critico. Serve la capacità di accettare anche ciò che è scomodo, distante o non immediatamente visibile.
Essere informati è il primo passo per comunicare meglio. E comunicare bene oggi significa, prima di tutto, ascoltare davvero.
Marco Tomasone